Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) è stato insignito, lo scorso venerdì 9 ottobre, del Premio Nobel per la Pace per «i suoi sforzi per combattere la fame, per il suo contributo al miglioramento delle condizioni per la pace in aree colpite da conflitti e per il suo agire come forza trainante per evitare l’uso della fame come arma di guerra e di conflitto».
L’assegnazione di cui innanzi rappresenta – oltre che un riconoscimento su scala globale – anche un motivo di soddisfazione per quanti si adoperano, nel quotidiano, per contrastare la povertà alimentare nonché per tentare di ridurre lo spreco alimentare. La pandemia da Coronavirus ha contribuito ad un forte aumento del numero di vittime della fame nel mondo. In Paesi come Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Sud Sudan e Burkina Faso, la combinazione di conflitto e pandemia ha portato ad un drammatico aumento del numero di persone che vivono sull’orlo della fame.
La pandemia ha, infatti, intensificato ulteriormente l’insicurezza alimentare: 130 milioni le persone nel mondo che rischiano di cadere nella morsa della fame cronica entro la fine di quest’anno; 690 milioni non hanno abbastanza cibo da mangiare; più di 3 miliardi non hanno la possibilità di accedere ad una dieta sana e bilanciata.
Di fronte alla pandemia, il WFP (World Food Programme) l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di contrastare la fame nel mondo, ha dimostrato un’impressionante capacità di intensificare i propri sforzi. Il riconoscimento assegnato dimostra che sicurezza alimentare, pace e stabilità sono strettamente interconnesse. Senza la pace non potremo raggiungere l’obiettivo globale di fame zero nel mondo e finché ci sarà la fame il mondo non conoscerà la pace.
Il conferimento del Premio Nobel per la Pace al WFP ha preceduto, d’una settimana, la celebrazione della 75° Giornata Mondiale dell’Alimentazione promossa dalla FAO il cui slogan, quest’anno, è stato: “Il clima sta cambiando. Anche cibo e agricoltura devono farlo”. Il tema della sicurezza alimentare è strettamente legato a quello del cambiamento climatico. Disastri naturali, inondazioni e siccità stanno mettendo in grande difficoltà il lavoro di agricoltori, pescatori e allevatori, a fronte del costante aumento della popolazione mondiale.
Denutrizione che fa morire di fame e malnutrizione che causa obesità e malattie croniche (malattie cardiovascolari, diabete, sindromi metaboliche, intolleranze alimentari) sono due facce della stessa medaglia contro cui lottare a livello globale. Tutti abbiamo un ruolo centrale in questo cambiamento: le organizzazioni internazionali e la società civile, le aziende ed i cittadini possono e devono contribuire a un sistema alimentare più equo, sano, giusto e rispettoso dell’ambiente.
Attraverso azioni concrete che sappiano adottare una visione sistemica capace di connettere in modo coerente tutti i problemi della malnutrizione, dal dramma della fame al problema dell’obesità. Il recente riconoscimento del Premio Nobel per la Pace al World Food Programme ribadisce ulteriormente l’importanza di intensificare gli sforzi di tutti per assicurare un futuro migliore alle persone ed al Pianeta garantendo a tutti l’accesso a cibo sano e sostenibile.
Nel mondo sconvolto dalla pandemia la Giornata mondiale dell’Alimentazione invita alla solidarietà globale per creare sistemi agroalimentari più resilienti e sostenibili per sconfiggere la fame. La sicurezza alimentare è legata al cambiamento climatico: da dove partire per realizzare un cambiamento sostenibile? Sicuramente è indispensabile partire dalla conservazione della biodiversità e dall’innovazione. Ma come ciascuno di noi può concorrere, nel suo piccolo, al conseguimento di obiettivi di così grande portata? Ci sono alcune regole semplici ed immediatamente fruibili, che dovrebbero già derivarci dall’esperienza quotidiana.
In primo luogo, evitare a tutti i costi lo spreco e, nel contempo, cercare di ridurre il volume della plastica e dei suoi derivati. Quest’obiettivo si può conseguire anche tornando – in parte – all’antico, ovvero alla spesa sfusa, come facevano le nostre mamme e le nostre nonne, per ridurre l’impatto degli imballaggi. Privilegiare l’acquisto di prodotti di stagione ma, soprattutto, a km. zero. Ed ancora utilizzare spazzole ecologiche e prodotti per la casa che siano rispettosi dell’ambiente e – possibilmente – biodegradabili.
Comprare meno ma comprare il giusto, ovvero quello di cui abbiamo realmente bisogno, sforzandoci tutti di mantenere questi comportamenti virtuosi anche quando siamo fuori casa oppure al ristorante. E poi combattere la plastica sulle nostre tavole, tornando ad utilizzare il vetro e le stoviglie al posto di quelle di plastica.
Se ci interessa mettere fine al perenne crimine della fame nell’era dell’abbondanza, non possiamo limitare le nostre azioni al livello del nostro Paese o comunità. Dobbiamo, invece, pensare alla condivisione del cibo in termini globali e soprattutto in relazione alle politiche per mettere fine alla fame. Al momento, si stima che – nel mondo occidentale – si gettino nella spazzatura non meno di 37 chili l’anno di cibo per individuo, mentre 815 milioni di persone, nel mondo, soffrono la fame ed una su tre è malnutrita.
La propensione a condividere il cibo dice molto di noi e dipende, in misura determinante, dal tipo di accudimento che abbiamo ricevuto nella prima infanzia. Situazioni come la pandemia da Covid-19 possono esacerbare l’inclinazione naturale, con risultati sia positivi che negativi. Molti studiosi ritengono che uno degli strumenti più efficaci per favorire lo scambio di cibo sia la fiducia.
È necessario rassicurare le persone più ansiose e meno aperte e favorire la condivisione, perché questo apporta benefici che vanno al di là della sussistenza. Condividere il cibo, anche in chi dona, migliora la fiducia, riduce il rischio di disturbi psicologici, fa diminuire ansia e stress e aumenta il senso di appartenenza a una comunità, fattore importantissimo per affrontare meglio che si può una situazione così atipica e faticosa.
GIANCAMILLO TRANI
Vice Direttore Caritas diocesana di Napoli